Alla fine i Certosini vissero nell’immediata prossimità di Parigi per quasi cinque secoli.
I loro effettivi rimasero sempre intorno a trenta, tra “fratelli conversi”, più specialmente dediti a lavori manuali, e “padri”, più specialmente volti verso la contemplazione. Né lo scorrere dei secoli né le vicissitudini della Storia poterono turbare la loro quies, (si può tradurre con: riposo in Dio, il che va più di là della pace benedettina) coronamento della spiritualità certosina. Neppure quando Parigi fu presa d’assalto (dagli Inglesi, durante la guerra dei Cent’Anni) o in preda a sommosse quasi rivoluzionarie (come durante le guerre di religione, nel 1590, o durante la Fronda, dal 1648 al 1653).
Maria de’ Medici (1575-1642) giunse in Francia, nel 1600, per sposare Enrico IV. Dopo l’assassinio del suo regale sposo, nel 1610, la Regina Vedova (da sempre famigerata per i suoi capricci e i suoi gusti sfarzosi) si fece edificare un castello “à l’italienne”, l’attuale Palais du Luxembourg.
Maria de’ Medici era una spendacciona poco intelligente, e ancora meno simpatica, che si rivelò, tanto in economia quanto in politica, una frana (a differenza della sua parente Caterina de’ Medici 1519-89, che diresse, con molta abilità, la Francia dal 1559 alla sua morte). Ma l’impopolare Maria de’ Medici aveva ereditato almeno due qualità fiorentine, anzi medicee: un gusto artistico solido e la tendenza al mecenatismo.
Seppe attirare i più grandi artisti dell’epoca da tutta Europa, e fare del suo palazzo una vera accademia di architettura e di pittura dove lavoravano Orazio Gentileschi, Paolo Rubens, Philippe de Champaigne e molti altri. Ma la regina non poté sopportare a lungo l’affaccio del Palais du Luxembourg sui muri di recinzione della certosa.
Nostalgica dei grandi giardini (tipo i Boboli, le Cascine e, soprattutto, il Palazzo Pitti, dove era cresciuta) dove si dilettava tanto nel passeggiare durante la sua giovinezza fiorentina e che a Parigi appunto mancavano, Maria de’ Medici volle allestirne uno, con spruzzi d’acqua, proprio davanti al suo palazzo. Perciò, mosse terra e cielo per espropriare i certosini. Ci riuscì solo a metà. I religiosi consentirono di cedere (contro pagamento) la parte del terreno prospiciente al Palais, serbando per il convento tutto il resto (cioè, 23 ha).
«Quella pace che il mondo irride, ma non può rubare».
Seppero anche resistere alle pressioni delle personalità che, mosse da un inestricabile mix di fede religiosa genuina e di snobismo, volevano fare un ritiro dai certosini. Gli furono opposti rifiuti calmi, ma categorici, e la clausura fu sempre rispettata. I religiosi non furono mai coinvolti in avvenimenti, o scandali, tali da attirare l’attenzione pubblica su di loro. Il che era rimanere fedeli alla loro vocazione, strettamente contemplativa.
Nel suo romanzo pubblicato nel 1780, sobriamente intitolato “La Religieuse” (= la monaca) Denis Diderot (1713-84) narra il patetico destino di tale Suzanne Simonin, fanciulla della borghesia parigina, impietosamente costretta dalla madre ad entrare in convento, per egoiste ragioni d’interessi. Le sue “lettere” dipingono un ritratto acerrimo della vita monacale, sordido focolaio di perversioni e malattie mentali di ogni genere. La povera Suzanne, vittima delle persecuzioni e angherie delle altre suore, intraprende tutto per fuggire da quest’inferno, ma invano. Alla fine, Suzanne non ha più altre soluzioni che evadere e nascondersi dalla polizia sotto un falso nome, come se fosse una criminale…
Grazie al genio di Diderot, “La religieuse” fu un successo di libreria in tutta Europa, e il triste destino di Suzanne fece spargere molte lacrime.* E diede, almeno nell’opinione colta, il colpo di grazia al monachesimo. Era, a dire il vero, pioggia sul bagnato: agli occhi dell’ideologia della stagione dei Lumi, in tutte le sue sfumature, i monaci apparivano già da lungo come insulti alla legge naturale, anacronismi vivi che andavano soppressi, nel proprio interesse, parere condiviso anche tra non pochi credenti.
Si trattava ovviamente di un romanzo, ma Diderot si era ispirato a due casi veri: sua sorella caramente amata, Angélique Diderot, entrata (volontariamente) presso le Orsoline, vi era impazzita e morì, a 29 anni. E, qualche decennio prima dell’uscita del libro, nel 1758, tale Marguerite Delamarre, suora del convento di clarisse di Longchamp, aveva fatto appello alla Giustizia per essere liberata dei suoi voti perpetui, affermando di essere stata costretta dai suoi genitori. Aveva perso il processo e fu costretta a rimanere nel convento.
L’impatto del libro di Diderot fu fortissimo e giocò, indirettamente, un gran ruolo nella legislazione antireligiosa del Giuseppinismo austriaco e, più tardi, della Francia rivoluzionaria.
Per la precisione: La Religieuse fu pubblicato a puntate tra il 1780 e il 1782 nella rivista Correspondance littéraire, in modo da aggirare la (pur tuttavia poco severa) censura. Ogni puntata era attesa con impazienza dal pubblico; anzi, pubblicarlo così goccia a goccia non fece che stuzzicare l’interesse del pubblico. Solo nel 1796, a Rivoluzione inoltrata e 12 anni dopo la morte di Diderot, fu pubblicato La Religieuse sotto forma di libro completo.
* Sarebbe interessante trarre un parallelo tra la Suzanne di La Religieuse e la Gertrude dei Promessi Sposi, altra vocazione forzata, altra finzione letteraria, ma ispirata a un caso storico. Anche se Manzoni, a differenza di Diderot, non aveva nessun intento anticlericale.
Se andate un giorno a spasso nel Jardin du Luxembourg, specialmente nell’angolo sud ovest, e se caso mai vedete sagome di fantasmi in saio bianco andare in giro, sotto il fogliame degli ippocastani, non vi spaventate: questi fantasmi sono del tutto benevoli.
Tengo qui a ringraziare la mia amica Silvia per aver accettato di pubblicare alcuni articoli miei, nel suo interessantissimo blog lamiaparis.com. Rivolgendomi ad un pubblico italiano, ho steso i testi direttamente in italiano. Ma non si tratta ovviamente della mia lingua materna, e sono, nuovamente, grato a Silvia di avere corretto i miei strafalcioni più grossi. Va però ricordato che eventuali errori rimangono della mia sola responsabilità.
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