Esecuzioni a Parigi sotto l’Ancien régime
Fino alla stagione dei Lumi (e le pubblicazioni di Montesquieu e di Beccaria) né il principio né l’esemplarità della pena di morte erano messi in questione da (quasi) nessuno. Le esecuzioni avevano dunque luogo in pubblico, dappertutto in Europa.
A Parigi, nell’età moderna (cioè, tra il Medio Evo e il 1789) la maggioranza delle esecuzioni si svolgevano sulla Place de Grève, oggi, Place de l’Hôtel de Ville.
Fino al tardo Settecento era la più grande piazza di Parigi; il che consentiva a migliaia di persone (provenienti da tutti i ceti sociali) di presenziare l’esecuzione. Tanto che, fino al 1870, l’esecuzione avveniva su un palco, l’«échafaud», (= patibolo) di due metri di altezza. Ai “VIP” stranieri di passaggio a Parigi, veniva spesso proposto di assistere ad un’esecuzione, un po’ come se fossero stati invitati ad una serata di gala all’opera…
Il Principe austriaco Giuseppe, futuro imperatore, venuto in Francia nel maggio del 1777 per visitare la sorella Marie Antoinette, racconta in parecchie lettere come le autorità parigine lo avevano invitato ad assistere all’esecuzione, sulla ruota, del famoso avvelenatore Desrues. E come lui, da ammiratore del Beccaria e delle sue idee, aveva rifiutato.
Le esecuzioni pubbliche, annunziate molti giorni in anticipo, erano per i parigini del ‘600 e ‘700, spettacoli popolarissimi, presenziati da una folla densa, impaziente ed eccitata. I giorni dell’esecuzione, i venditori ambulanti di bibite e di leccornie (e anche i borseggiatori…) facevano affari d’oro. Al punto che, caso mai il condannato fosse graziato subito prima dell’esecuzione, il disappunto del popolo, così privato del suo spettacolo, poteva scoppiare in una vera e propria sommossa.
A quell’epoca, come nella nostra, le donne erano in minoranza tra i criminali. E la stragrande maggioranza di esse erano ree di prostituzione o di furto.
Si stima che, verso il 1750, almeno il 10% delle parigine ricorreva alla prostituzione, almeno occasionale… Essendo la metà del Settecento un periodo abbastanza prospero, si può solo immaginare quale fosse stata la percentuale in periodi di miseria…
Rarissime le donne colpevoli di delitti violenti. In quanto alle ladre, i giudici erano comunque più indulgenti verso loro che verso i loro colleghi maschi. In linea di massima, le donne criminali erano espulse da Parigi, o condannate alla deportazione verso le colonie (Canada o Louisiana) in America. Si pensi alla celebre storia di Manon Lescaut… O rinchiuse alla Salpétrière.
L’attuale ospedale della Pitié Salpétrière c’era già nel 700. Allora, serviva insieme da convento, da ospedale, da manicomio e anche da prigione per donne.
Solo approssimativamente il 3% dei giustiziati a Parigi erano donne. Il che faceva appunto della loro esecuzione uno spettacolo particolarmente atteso.
Ma gli uomini, non solo assassini, ma anche ladri, truffatori, ruffiani, disertori venivano spesso puniti colla morte, che fossero, o no, responsabili di morte umana. Va però anche detto che le condizioni di vita nelle prigioni di quell’epoca erano così dantesche che la morte era preferibile.
Neppure l’esecuzione però era indolore. Perché uno dei principii del diritto penale di allora era che, quanto più crudele il castigo, tanto più efficace la dissuasione. Esisteva dunque una larga gamma di supplizi. La maggioranza dei condannati venivano impiccati, cioè strangolati. L’agonia poteva durare minuti.
Uno dei privilegi della nobiltà invece, era di venire giustiziato colla decapitazione, tramite una spada. A differenza dell’impiccagione, la morte era spontanea… Purché il boia non fosse maldestro o ubriaco.
Il 3 maggio del 1766, il conte di Lally Tollendal, reso (ingiustamente) unico responsabile della disfatta della Francia davanti all’Inghilterra, nelle Guerre per il controllo dell’India, fu condotto, sul luogo d’esecuzione « in una carrozza parata a lutto. » Purtroppo, il boia Sanson era brillo quel giorno, e mancò il suo colpo. Il povero Lally morì solo al quarto colpo, dopo sofferenze bestiali.
Per delitti veramente truculenti era stata introdotta, nel ‘500, la pena della ruota. Il condannato era legato ad una croce a X, e il boia gli spezzava prima le membra e infine la colonna vertebrale e lo sterno, con una gran mazza. Poi, il condannato era lasciato ad agonizzare per ore, a volte, per giorni, faccia verso il cielo (tanto per dargli una speranza di redenzione).
La ruota era un supplizio tanto doloroso (per il suppliziato) quanto spettacolare (per il pubblico). Quei giorni, la ressa sulla Place de Grève era così densa da non potersi muovere per ore.
C’erano anche i colpevoli di crimine contro la religione, che espiavano sul rogo. Va però ricordato che, a partire dal tardo ‘500, questo supplizio divenne eccezionale in Francia dove l’Inquisizione non aveva autorità. Molto meno frequente, comunque, che in Italia o in Spagna.
La «sodomia» (omosessualità maschile) era assimilata ad un crimine contro l’ordine divino, e dunque, teoricamente, punita col rogo. Ma eccezionali i casi così puniti. Gli ultimi sono stati tali Jean Diot e Bruno Lenoir, bruciati (simbolicamente, perché prima strangolati per retentum) sulla Place de Grève il 6 luglio 1750.
Anche la stregoneria era punita col rogo. Ma il Parlamento di Parigi aveva, già nel 1640, in un inaspettato slancio d’umanità, vietato la pena di morte per le streghe, giudicandole, a ragione, più pazze che criminali.
Riservata ai regicidi (che l’attentato fosse riuscito, o no) era la pena dello squartamento: si legavano le braccia e le gambe del regicida a quattro cavalli diversi, che si dislocavano fino a spezzare il corpo… Essendo rari i regicidi, si ricordano solo quattro casi di squartamento a Parigi: quello di Jean Chatel dopo un attentato (fallito) alla vita di Enrico IV, nel 1594, quello di Ravaillac, dopo l’attentato (riuscito) contro Enrico IV, nel 1610. E quello di Damien, che aveva appena ferito Ludovico XV, nel 1757.
Nel 1563, il protestante Jean de Poltrot aveva, durante le guerre di religione, ammazzato il capo cattolico François de Guise. Benché de Guise non fosse apparentato al Re, e benché si trattasse, dopo tutto, di un atto di guerra e non di un assassinio, de Poltrot fu squartato a Parigi.
A questo folclore sadistico-giuridico si aggiungeva anche, per i falsatori delle monete, la pena della bollitura a morte, in cui il falsatore veniva immerso in un pentolone pieno di acqua bollente. L’ultimo ad essere giustiziato in questa maniera fu un certo Thierry, nel 1587. Dopo, sembra che questa pena non fu mai più applicata a Parigi né altrove in Francia.
Difficile anche dedurre, dalle cronache contemporanee se il condannato venisse veramente giustiziato così efferatamente, o se non fosse prima strangolato.
A partire della meta del ‘700 si diffuse però tra l’intellighenzia dei Lumi (ma non tanto tra il popolo, anzi…) il rigetto di questa crudeltà. E si ipotizzò che non la severità, bensì la certezza della punizione era il vero deterrente.
Il giurista milanese Cesare Beccaria sintetizzò tutte queste idee in maniera magistrale nel suo libro «Dei delitti e delle pene», pubblicato nel 1764.
La Francia fu, nel 1939, l’ultimo dei paesi “civilizzati” ad abolire la pubblicità delle esecuzioni. È vero che il patibolo era stato abolito nel 1870. Da allora in poi, le esecuzioni si svolgevano proprio davanti al portone della prigione, ma al livello del suolo, circondato da poliziotti. Siccome il pubblico non vedeva niente, o quasi.
E il ritmo proprio industriale delle esecuzioni durante il Terrore (almeno 2 500 ghigliottinati, di cui forse il 2% erano donne, a Parigi, dal gennaio del 1793 all’agosto del 1794) diede al popolo parigino uno spettacolo macabro e quasi quotidiano. Tanto che, sotto la Rivoluzione, il patibolo si ergeva, non più sulla Place de Grève, bensì su quella della Concorde: enorme spazio che consentiva a migliaia di cittadini di presenziare le esecuzioni.
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