Dopo il periodo di decadenza tardo rinascimentale, l’abbazia di Saint Germain des Prés vide una nuova fioritura intellettuale e spirituale, grazie all’operato della Congregazione di San Mauro che, nei primi decenni del 1600, tentò di rigenerare la vita religiosa nei monasteri francesi.
I monaci parigini (come, d’altronde, quelli di quasi tutti i monasteri da riformare) non accettarono la riforma con entusiasmo, anzi. Più che riluttanti ad abbandonare la loro vita facile e spensierata, per poco evangelica che fosse, accolsero i riformatori con malumore; anzi, con violenza. Si verificarono, tra i frati sostenitori e quelli avversari della riforma, sceneggiate, sgridate, vere e proprie risse, colluttazioni, in un ambiente davvero poco monastico. All’abbazia di Sées, in Normandia, un monaco ostile alla riforma sfigurò la faccia del suo superiore con un ferro rovente…
Ma il primo superiore generale, dom Tarisse (1575-1648), un uomo di grinta, non si lasciò scoraggiare. E seppe circondarsi di collaboratori di valore.
Dapprima, centralizzò la congregazione, insediandone la centrale nell’abbazia di Saint Germain che rimase, fino alla Rivoluzione, il centro nevralgico dell’attività maurina. Dopo, impose di scegliere più accuratamente le vocazioni, mettendole alla prova. Ormai, i novizi, e poi i professi, si videro costretti ad una vita austera, dedicata al lavoro e allo studio. Il che ebbe una doppia conseguenza positiva: primo, le vocazioni diciamo “indesiderabili” vennero eliminate. E secondo, tutti i monaci avevano ormai una solida formazione, una base solida alla loro vita spirituale.
Fallì invece il tentativo di sopprimere la commenda. L’abbazia di Saint Germain, benché in crisi, rimaneva ricca e il Re non volle mai rinunciare a così bella sorgente di danari.
Tra il 1667 e il 1674, l’abbazia dovette rinunciare al suo potere temporale sul Faubourg Saint Germain, che ormai faceva parte di Parigi. Il che consentì ai monaci di concentrarsi sulla vita spirituale, e il lavoro intellettuale.
I superiori di Saint Germain avevano, infatti, scelto di individuare i più dotati fra i novizi per orientarli, dopo solidi studi, verso lavori di erudizione e di ricerca intellettuale. Non, ovviamente, per coltivare la loro vanità, ma perché si vedeva nell’erudizione una forma di ascetismo.
Essendo l’ozio la sorgente più frequente delle colpe che si commettono nelle comunità religiose, non c’è mezzo più efficace per inaridire questa sorgente, chiudere la porta alle sregolatezze che suscita, sennò dare mansioni ai religiosi, per impiegare tutto il tempo fuori dell’ufficio divino.
spiegò il superiore di Saint Germain nel 1671.
Certo, i monaci maurini non erano tutti stinchi di santi. Si può d’altronde notare che, all’infuori di quelli martirizzati sotto la Rivoluzione (si veda sotto), nessun maurista fu mai canonizzato, o beatificato, da Roma. Ma, almeno, non c’era posto fra loro per i pigri e gli indisciplinati. E non davano più esca allo scandalo, anzi.
L’attività intellettuale era pure un mezzo per difendere la Chiesa dagli assalti dei suoi avversari (protestanti, libertini e, a partire dal 1720-30, illuministi…) che, troppo spesso, la tacciavano di oscurantismo.
Queste riforme mauriste diedero l’avvio ad una formidabile fioritura spirituale ed intellettuale. E questo in tutti i campi. Storia (non soltanto religiosa, ma anche profana), Critica letteraria, Patristica, Diritto Canonico… Ma era esclusa l’esegesi biblica, materia allora (quasi) vietata dalla Chiesa cattolica. Citiamo, fra tanti altri, i nomi di Ruinart, Wartel, Montfaucon ecc. E il più famoso di loro, dom Jean Mabillon (1632-1707), considerato come il fondatore della storiografia moderna. I suoi manuali vengono ancora usati oggidì dagli studenti…
Si può dire, senz’esagerare che, dal 1660 al 1750, l’abbazia di Saint Germain des Prés fu il baricentro della vita letteraria e sapiente, non solo di Parigi, ma anche di tutto il paese. E, in una certa misura, dell’Europa. La clausura era ormai rispettata, ma la biblioteca era aperta al pubblico, e frequentata da tutti gli “intellettuali” (anche se la parola non esisteva, all’epoca) profani, anche da quelli più lontani dalla Chiesa.
L’ampiezza della produzione maurista (migliaia e migliaia di opere, quasi tutte stese in latino) ci mozza il fiato; specialmente se si tiene in conto che allora non esistevano trattamento di testi né mezzi di comunicazione pratici e rapidi. Un thesaurus di conoscenze, ma anche di metodologia, che fece progredire l’intelligenza. Senza l’ingente lavoro d’erudizione dei Mauristi, forse l’Illuminismo non sarebbe stato possibile. O, almeno, avrebbe preso altri aspetti.
Nonostante il loro formidabile prestigio, la vanità non gli diede alla testa. Mai vennero trascurati i doveri della vita religiosa.
Un benedettino può essere un sapiente, ma rimane monaco innanzitutto, uomo di preghiera e di liturgia. Il canto degli uffici e l’orazione assorbe una parte considerevole del suo tempo. E la scienza non può ottenere da lui quel che gli lasciano Dio e l’ubbidienza.
dom Guéranger
Saint Germain des Prés non divenne un’”Abbazia di Thélema”, un po’ come aveva degenerato Port Royal.
L’abbazia di Thélema
Rabelais (1493-1553) è stato un dei maggiori esponenti dell’Umanesimo francese, celebrato per la sua satira pungente, la sua prosa insieme colta e volgare. Ma scritto in una lingua cinquecentesca, purtroppo ormai quasi incomprensibile al francese del 2019.
L’abbaye de Thélème era, nella sua opera, Gargantua, un luogo di ritrovo di “persone libere, ben nate, ben istruite che frequentavano oneste compagnie” i cui “istinto e inclinazione li spingevano ad arti virtuose, tenendoli lontani dal vizio.” Una comunità intellettuale, insomma, ma senza quasi nessun riferimento alla religione.
La locuzione è entrata nel vocabolario e, varie volte, comunità intellettuali, più o meno somiglianti a sette furono chiamate, o si riferivano esse stesse, all’abbazia di Thélema. La più famosa fu quella organizzata dall’inglese Crawley nella Villa Barbara di Cefalù.
Rabelais era stato, in gioventù, frate francescano e, dopo la sua fuga dal convento, a 32 anni, aveva serbato un virulento anticlericalismo e un disprezzo di ferro per ogni vita consacrata (gli studiosi discutono ancora per sapere se Rabelais era, o no, ateista).
Il nome stesso di “abbazia” era, ovviamente, ironico. Perché l’unica sua regola era: «Fay ce que vouldras», “Fa quel che vuoi” («thélèma» significa letteralmente: “volontà” in greco), in completa contraddizione colla Regola di San Benedetto che, fin dal prologo, chiede di rinunciare alla “volontà propria” e d'”impugnare le fortissime e valorose armi dell’ubbidienza per militare sotto il vero re, Cristo Signore.“(Prol 4)
Ma, i decenni precedenti il 1789, dal 1760 in poi insomma, Saint Germain des Prés subì un lieve declino. Non che l’osservanza fosse meno rispettata o che si verificassero nuovi scandali. Ma era incontestabile che la creatività culturale non era più quella, anche se l’abbazia serbava il suo prestigio. E l’Illuminismo suscitava un’ostilità diffusa contro il monachesimo, giudicato, anche all’interno della Chiesa, arcaico e parassito.
I filosofi, quasi tutti gli uomini di studii e “beaux esprits”* si scatenano contro la nostra santa regola. E la religione viene scossa da ogni parte
constatava tristemente il superiore dom Boudier, nel 1770.
Inoltre, molti Mauristi soccomberanno alla tentazione del Giansenismo. Donde una certa diffidenza di Roma al loro riguardo.
L’ultimo superiore generale di Saint Germain des Prés (che annoverava 54 monaci, nel 1789), dom Ambrogio Chevreux (1728-92) fu eletto deputato agli Stati Generali. Ma non poté far niente per salvare l’abbazia di Saint Germain, e la congregazione maurina, che furono sciolte nel 1790. Nel 1792, i fabbricati vennero confiscati dalla Convenzione, gli ultimi monaci furono sfrattati. Arrestato, il priore dom Chevreux perì orribilmente trucidato a furor dipopolo durante i Massacri del Settembre 1792.
Si stigmatizza, giustamente, il vandalismo della Rivoluzione francese. Ma, in realtà, solo una piccolissima parte delle distruzioni furono operate durante la Rivoluzione stessa. Il patrimonio confiscato non fu distrutto subito, ma venduto a privati, essendo il governo giacobino in permanenti strettezze di quattrini.
Furono questi nuovi proprietari a procedere alle distruzioni, molto dopo la fine delle persecuzioni religiose. Quasi mai per furore antireligioso, ma per mero appetito di lucro. Così avvenne a Saint Germain des Prés, convertita in una polveriera. Che esplose, il 19 agosto 1794, distruggendo quasi tutto. La chiesa, e il suo campanile, benché danneggiati, furono salvati (per il rotto della cuffia) e trasformati, nel 1803, in chiesa parrocchiale.
Gli altri fabbricati, già comunque mezzi rovinati dall’esplosione, andarono distrutti man mano che furono aperti i grandi viali rettilinei (Boulevard Saint Germain, rue Bonaparte). Solo si salvò una parte dell’antico palazzo abbaziale, a nord della navata della chiesa, divenuto presbiterio e casa parrocchiale.
Distrutta dunque, l’abbazia e il suo spirito? Non del tutto. Nella chiesa hanno trovato le spoglie dei più famosi maurini (Mabillon e Montfaucon) e anche quelle dello scrittore Boileau e del filosofo Cartesio (anche se questi non c’entravano affatto coll’abbazia).
Non è vietato pensare che gli studenti della Bohème e, dopo la guerra, gli esistenzialisti (JeanPaul Sartre, Simone de Beauvoir, Juliette Gréco ed altri) presero, in una certa maniera, e senza saper né volerlo, il loro seguito.
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Tengo qui a ringraziare la mia amica Silvia per aver accettato di pubblicare alcuni articoli miei, nel suo interessantissimo blog lamiaparis.com. Rivolgendomi ad un pubblico italiano, ho steso i testi direttamente in italiano. Ma non si tratta ovviamente della mia lingua materna, e sono, nuovamente, grato a Silvia di avere corretto i miei strafalcioni più grossi. Va però ricordato che eventuali errori rimangono della mia sola responsabilità.
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