La lingua francese ha tante regole, come anche l’italiano ovviamente, e i Francesi ci tengono proprio tanto a rispettarle tutte, a non trasgredire mai, soprattutto nel linguaggio parlato, dove sfoggiano con precisione maniacale tutte le loro conoscenze grammaticali e lessicali…
Ovviamente no. Non è vero. I Francesi non sono robot maniaci del francese.
Sebbene il loro sciovinismo linguistico sia noto a tutto il mondo, nella realtà sono persone normali, che “parlano come mangiano” (e non facciamo battute sul cibo!), hanno un modo di parlare spontaneo e variegato, certamente più alla mano quando parlano tra amici e familiari, più formale e sostenuto tra sconosciuti. Insomma niente di diverso rispetto a noi.
È per questo che molto spesso, nel linguaggio parlato, tutte le belle regolette che si studiano a scuola per parlare un francese DOC vanno a farsi friggere. Au revoir grammatica, adieu !
Vince la rapidità, la semplificazione. Ma sì perché poi alla fine i Francesi hanno mille cose da fare, non possono mica perdere tempo a seguire alla lettera tutte le indicazioni dell’Académie française.
Ecco qui di seguito alcuni esempi delle loro abitudini linguistiche, come usano parlare i Francesi nella vita di tutti i giorni, e le regole che trasgrediscono in nome di una comunicazione più fluida.
La prima persona plurale NOUS è solitamente sostituita dal pronome ON, che corrisponde al nostro “si”. Un po’ come quando i toscani dicono, ad esempio, “oggi si è mangiato bene” invece di “oggi abbiamo mangiato bene”.
Ecco, i Francesi sono toscani dentro. Usano questa struttura praticamente sempre. È chiaro che nel linguaggio scritto o nel parlato formale è preferibile la forma con “NOUS”, ma in tutte le altre situazioni della vita quotidiana, e anche nel linguaggio scritto familiare, tra amici o parenti, prevale certamente “ON”.
I Francesi sono anche un po’ inglesi (non me ne vogliano), perché il loro modo di costruire la frase negativa richiede una doppia particella proprio come nel mondo anglofono, anche se l’origine penso sia un po’ diversa tra le due lingue. Quindi, in francese la negazione si fa con NE + PAS posti ai lati del verbo principale.
Bene, questa sarebbe la regola generale.
Ma in fondo, nel linguaggio parlato di tutti i giorni, quando si va di fretta, quando il tempo è poco e le cose da fare si accumulano, perché sprecare tempo prezioso per usare entrambe queste particelle?! Molto meglio toglierne una no? È così che il Francese DOC che corre indaffarato dalla mattina alla sera decide di togliere il NE.
Per esempio, se volessi dire “non ho fame”, che in francese puro si direbbe “je n’ai pas faim” (sì, scusa dimenticavo, il ne davanti a vocale vuole l’apostrofo), in francese familier diventa “j’ai pas faim” (e ora è je che, davanti alla vocale, prende l’apostrofo). L’importante è che il PAS rimanga sempre: qualunque cosa si voglia fare col ne, se metterlo o no, per far capire che c’è una negazione è fondamentale lasciare il pas.
Ma attenzione!!! Poteva forse mancare un’eccezione a confermare la “regola” della “non regola” di togliere il ne? Certo che no! C’è un caso, un SOLO caso, ripeto, un unico caso, in cui si toglie sia il ne sia il pas, pur rimanendo una forma negativa. Non ti preoccupare. No non è che non ti devi preoccupare, ma quell’unico caso corrisponde proprio alla frase francese “non ti preoccupare”, ossia, in francese puro: ne t’inquiète pas.
Ecco, se la regola generale vorrebbe entrambe le particelle (ne t’inquiète pas) e se la deformazione operata dal linguaggio parlato elimina il ne (t’inquiète pas), l’uso ancora più modificato, ancora più sbrigativo di questa espressione permette addirittura l’omissione del pas (t’inquiète).
Signore e signori, siamo di fronte a un paradosso della lingua francese. L’espressione “t’inquiète” che a rigor di logica dovrebbe significare “preoccupati!” nel linguaggio parlato familiare significa praticamente sempre il contrario: “non ti preoccupare!”
Mmmm, ci sarà da stare sereni?
Normalmente nei monosillabi che finiscono in E, come je, le, me, te, de … se segue una vocale si fa l’elisione, ossia la E cade e si mette l’apostrofo. Questo è normale, è corretto, e tra l’altro si può fare anche in italiano con altre vocali (mi impegno → m’impegno). Ci sono dei casi però che in francese tolgono la E anche se a seguire c’è una consonante, cosa che grammaticalmente non è affatto corretta. Per esempio: je sais qu’on va le faire → j’sais qu’on va l’faire.
Il pronome JE è ancora più scandaloso perché viene contratto talmente tanto che a un orecchio poco allenato potrebbe essere non capito. In particolare, “io sono”, je suis, può essere addirittura scritto in un modo che foneticamente corrisponde a j’suis, ma che è ancora più abbreviato: chui (parlo sempre di contesti molto informali o tra giovani).
Come nel caso di JE, LE etc. anche il pronome personale TU può subire un’elisione non richiesta. In questo caso, TU è comunque seguito da una vocale, ma in francese il TU non si dovrebbe mai apostrofare. Invece, come abbiamo visto, nel français familier tutto è lecito. Così, un’espressione come “Tu as fait quoi hier soir ?” diventa “T’as fait quoi hier soir ?”.
Se dico “sei stato bravo!” o “sei stato bravo?”, all’orale quello che cambia è solo l’intonazione della voce. E questo è il nostro modo, semplice e lineare, di fare domande in italiano. I Francesi invece amano complicarsi la vita, e nella loro bella lingua prevedono non uno, non due, ma ben TRE modi diversi di fare frasi interrogative.
A seconda delle situazioni, in particolare se si tratta di contesti più o meno formali, o della presenza o meno di alcuni avverbi interrogativi, si deve usare un modo piuttosto che un altro. Come potrai immaginare, i primi due modi sono quelli più complessi. Ma lo sanno bene anche i Francesi! È per questo che nella loro logica della rapidità e semplicità, quindi nel linguaggio orale più confidenziale, prediligono le frasi interrogative fatte con una diversa intonazione.
Tu as bien mangé ? rimane Tu as bien mangé ? (ma con tono interrogativo). Anzi, se vogliamo applicare quanto detto nel punto 4, la domanda sarà: t’as bien mangé ?
Dulcis in fundo, pensi forse che il Francese super impegnato e affamato di tempo si limiti a questi mezzucci da quattro soldi per parlare in modo più semplice e sbrigativo? No no, qui ci vuole qualcosa di più efficace, non basta apostrofare o eliminare qualche monosillabo qua e là, bisogna intervenire sulle parole più lunghe!
Detto fatto: il Francese DOC, che oltre a essere un po’ toscano e un po’ inglese, secondo me è anche un po’ romano, ha pensato bene di accorciare le parole. E così, se in romano, appunto, abbiamo “regà” per “ragazzi”, “viè” per “vieni”, “partì” per “partire” e così via, in francese troviamo “ado” per “adolescent”, “appart” per “appartement”, “ciné” per “cinéma” e molte altre. Uguale no?
Quindi se ti capita di sentire i Francesi dire frasi a spizzichi e bocconi, non ti preoccupare, non sono impossessati da Giusy Ferreri, stanno “solo” trasgredendo la Sacra Legge della Lingua Francese.
Ma se lo fanno loro puoi farlo anche tu! 😉
Puoi trovare altri esempi di parole abbreviate in questo articolo: il francese delle parole abbreviate.
Qui sotto trovi l’episodio del podcast relativo a questo articolo, così se vorrai potrai ascoltare anche le parole sopra citate.
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